Ovidiu Mircean
Babes-Bolyai University, Cluj-Napoca, Romania
Erranze pirandelliane nella narrativa di Paul Auster
Appunti per una speculazione
Abstract: The study is meant to propose a comparative approach between Luigi Pirandello’s characters (Mattia Pascal, the six characters searching for an author) and the postmodern dispersive interiority enacted in Paul Auster’s narrative. The arguments take into account both the thematic coincidences, (the existence as a perpetual metamorphosis of the surface, the inner world as simulacrum) and the stylistic techniques that aim to create a continuum between the world of the reader and the different levels of the textual reality (metalepsis, trompe l’oeil).
Keywords: Paul Auster, Luigi Pirandello, “postmodern identity”, simulacra, “trompe l’oeil”
In una lettera di 31 dicembre 1886 Pirandello scrive alla sorella Lina:
“quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore, allora tu non saprai che fare, sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono cosi.[1]”
I segni di una crisi che accade nella vita dello scrittore poco dopo il matrimonio e lo spostamento della giovane famiglia a Roma si accentuano nelle lettere successive, per descrivere i sintomi di una estraniazione traumatica: “chi ha capito il gioco – scrive Pirandello anticipando con qualche anno i paradossi dell’Umorismo, – non riesce più ad ingannarsi, ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere ne gusto ne piacere alla vita. Cosi è.[2]” La crisi delle verità metafisiche tradizionali, che scoperta, impedisce al soggetto di porsi un ideale e implicitamente, la dissoluzione delle credenze tradizionali nel finalismo antropologico, sono rispecchiate, secondo la dimostrazione ormai classica di Claudio Vicentini (L’estetica di Pirandello) nell’opposizione pirandelliana fra la fede illusoria ma vitale e la ragione vera, ma mortale. L’erranza pirandelliana, “il viandante senza casa”, per cittare la testimonianza di sopra, nasce a causa dell’impossibilità di appropriarsi una concezione coerente del mondo, un tipo di assenza di significato che lo rende vulnerabile a deformazioni diverse, e sopratutto alle rappresentazioni altrui. I sei personaggi che cercano l’autore stanno infatti provando di conquistare la propria realtà tramite una rappresentazione teatrale, un racconto che possa ricostruire la loro forma, la loro memoria persa, oppure, addiritura, la loro troppo fragile identità. Se il mondo trova la propria realtà nella rappresentazione, la prospettiva personale, l’interpretazione, hanno la forza di rendere l’oggetto vivente. In questo tipo di concessione, un individuo acquista realtà nella prospettiva della persona che lo conosce e la perde quando essa scomparre. Nelle novelle e in alcuni romanzi del nostro, la funzione creativa dello sguardo, trasforma quasi, secondo Massimo Fusillo[3], la vita quotidiana in una fantasmagoria meccanica, tanto che l’autore stesso finisce per satirizzare questa prospettiva in Notizie del mondo, quando spiega che si piange per il morto perche “ il morto non può più dare a voi una realtà[4]”. L’esistenza postuma di Mattia Pascal mette in atto lo stesso conflitto, la stessa impossibilità del personaggio di assumere un ruolo sociale, una forma per lo sguardo dei viventi, senza di cui, il protagonista rimasto senza casa, senza nome, senza identità oppure con due identità postume, è condannato a ripetere in qualche modo lo scenario biografico dell’ebbreo errante.
Paradossalmente, questa esistenza nell’ordine del simulacro, della superficie imagistica, dell’illusione collettiva tipica per i caratteri pirandelliani non si accenna quasi mai nei romanzi contemporanei dedicati al tema. Nei nuovi canoni abbastanza relativizzanti, prendono un rilievo senza precedente nella tradizione letteraria, gli scrittori dell’erranza formale, i maestri della digressione, Cervantes, Lawrence Sterne, Lewis Carroll, alcuni decadenti che teorizzano esplicitamente lo stile e la forma, però, manca un simile ricupero al livello tematico, e una rilettura dei testi classici dedicati ai soggetti ormai rivendicati dalle teorie postmoderne[5]. Fra gli antenati dei protagonisti postmoderni che si perdono in erranze anonime, cancellando le proprie orme non è quasi mai riccordato Mattia Pascal e la sua biografia finzionale.
Fanno eccezione, in questo contesto i romanzi del prosatore americano Paul Auster, che riprendono in chiave postmoderna, senza dichiarare mai esplicitamente la fonte, alcune suggestioni delle problematiche pirandelliane. Il suo romanzo più famoso, The New York Trilogy mette in trama la macchina narrativa di un romanzo giallo classico, in cui, però, tutte le catene della ricerca poliziesca portano verso un unico sospetto, l’autore stesso, colui che ha catturato in una forma fatale e criminale i propri personaggi. Il protagonista David Quinn, che ha in comune con Don Quijote le iniziali, parte in una folle inchiesta per scoprire l’unico strumento che possa usurpare l’onnipotenza dell’autore Paul Auster, cioè, la lingua perfetta, la lingua della creazione del mondo. La ricerca mette in rilievo non soltanto il problema della crisi del linguaggio, ma anche quella della rappresentazione, della correlazione persa fra forma e significato. “He arrived in a neverland of fragments, a plan of wordless things and thingless words.[6]” Perciò, il protagonista decide che l’unica soluzione possible sia mettere in scena la propria morte e impersonare da quel momento in poi, Paul Auster stesso. Nelle convenzioni finzionali del romanzo The New York Trilogy, il carattere creativo della rappresentazione si scatena e il protagonista in cerca dell’autore una volta immedesimato nei panni di Paul Auster diventa non soltanto l’autore di sè stesso, ma anche il narratore demiurgico del mondo in cui abita. Però la soluzione richiede la perdita assoluta della sua identità, la cancellazione della memoria, delle sue origini, e delle radici. “He was Paul Auster now, and with each step he took, he tried to fit more comfortably into the structures of that transformation. Auster was no more than a name for him, a mask without content. To be Auster meant being a man with no interior, a man with no thoughts. […] Listen to me. My name is Paul Auster. That is not my real name.[7]” La struttura del mondo finzionale si reca al labirinto di specchi delle Avventure di Alice di Lewis Carroll e la macchina narrativa scatena una confusione dei livelli della realtà che confronta la problematica di una ontologia debole del personaggio letterario.
Il gioco testuale che scioglie le convenzioni epiche classiche per integrare dentro il primo mondo diegetico un altro secondario, viene definito da Brian Mchale nel suo libro Postmodernist Fiction[8], come “trompe l’oeil letterario”, cioè la strategia metalepsica di creare una realtà variabile in cui due diversi livelli del testo sono successivamente dinunciati in quanto illusori. Ripresa dai discorsi antici di giuresprudenza, la metaleps[9]i (derivata dal greco meta-, fra, dopo, secondo, e lambanein, prendere) disegna la contaminazione e l’intersezione fra diversi livelli di una struttura gerarchica. Di solito, il racconto messo i cornice rispetta la distinzione fra il livello della narrazione e quello degli eventi narrati, però la metalepsi riesce a produrre un cortocircuito fra questi livelli. In un racconto di Julio Cortazar, per esempio, La continuità dei parchi, il lettore di un romanzo viene assassinato addiritura dal personaggio del romanzo che sta leggendo. Una simile trasgressione narrativa potrebe essere definita “metalepsi letteraria”: l’intrusione nel mondo narrato del narratore estradiegetico. Al contrario delle micronarrazioni incorniciate, che spesso esplicitano il mondo da dove derivano, le metalepsi ripropongono tutti i livelli del testo nel momento presente dell’atto narrante, per cancellare i confini fra il mondo del narratore e quello del racconto, oppure, nei casi estremi, fra la finzione e la realtà. Secondo Patrick Mauries[10], la poetica specifica nascosta dietro la technica pitturale “trompe l’oeil” verte una negazione dell’immagine e della pittura stessa. L’illusione che svela la propria verità ingannando, l’immagine che mira alla propria natura si costruisce tramite una focalizzazione diretta sul limite, sulla cornice. Una cosa che esiste “in para” non è soltanto allo stesso tempo al di qua e al di là del confine che separa il mondo interno da quello esterno, ma proprio la frontiera stessa, lo schermo che costituisce una membrana permeabile fra dentro e fuori. Per non rovinare il suo effetto, bisogna collocare un trompe l’oeil autentico in uno spazio addatto; proprio per questo gli spazi dove viene messo un simile quadro sono definite da una certa pitturalità: i canti nascosti, le nicchie, le ogive. Gli oggetti, la composizione di un trompe l’oeil saranno sempre circoscritti; non potranno mai essere autosufficenti perchè non devono contraddire le leggi dello spazio esterno. Il suo spazio interno è definito soltanto in relazione con questo contesto, contaminandolo[11]. La cornice diventa invisibile e lo spazio interno della tella diventa una cornice per l’effetto creato dalla zona di confine fra l’interiore e l’esteriore dell’illusione artistica. Nella narrativa questo effetto riesce, secondo la stessa demostrazione di Brian McHale, di spostare la discussione dal campo della crisi gnoseologica moderna a quello più complesso dell’ontologia postmoderna e dei suoi simulacri.
Un primo legame fra il drammaturgo italiano e l’estetica del personaggio postmoderno, la sua interiorità sradicata e fondamentalmente errante, è già ovvia nei suoi scritti di carattere autobiografico, ma anche nei saggi in cui si affermano i primi principi di poetica drammatica. La relazione di parentela fra la poetica pirandelliana e la teoria della metalepsi narrativa è più che ovvia, fin dal primo articolo che il nostro dedica alla creazione drammatica[12] e al tema del personaggio dialogico. Inoltre, è conosciuta l’avversione del nostro contro il dramma del tempo ispirato dai soggetti storici, e la sua proposta alternativa di un dialogo drammatico che possa contenere tutto il sottostratto narrativo. L’esempio che offre è una storia presa da un poema di Heinrich Heine dove il trovatore Jaufrè Rudel e la sua donna Melisanda ogni notte si svegliano e insieme ad altre figure ricamate nelle tappezzerie del castello di Baya, scendono dall’immagine e camminano nella grande sala del palazzo. Così, sostiene Pirandello, i personaggi dovrebbero staccarsi vivi dalle pagine scritte, per acquistare vita. In altre parole, il personaggio dovrebbe assumere il suo ruolo di costruzione finzionale nel mondo dei vivi e quello di essere reale nel proprio mondo. La sua esistenza sarebbe una spezzata, schizoide; il personaggio stesso diventa l’agente e il confine dei due mondi, per dinunciare tramite la propria mancanza di realtà, l’illusione di ogni specie di verità autobiografica.
Infatti i personaggi di Auster come quelli di Pirandello vivono con la coscienza acuta della propria mancanza di realtà, considerandosi spesso fantasme erranti in una vita postuma, e proprio per questo, hanno disperatamente bisogno dello sguardo altrui, sia quest’altro un detective pagato a seguire ogni loro passo, una infirmiera, oppure, al livello metaletterario, il lettore stesso. Alla fine del romanzo Ghost, Black spiega perchè un altro personaggio, Brown si trova sempre a qualche passo vicino a lui: “Because, he needs me, says Black, still looking away. He needs my eye looking at him. He needs me to prove he’s alive[13]”. Nei romanzi più conosciuti dello scrittore americano, The Music of Chance, Leviathan, Moon Palace, The Invention of Solitude, lo scenario si ripete ossessivamente: un evento traumatico iniziale spezza l’ordine realistico del mondo, e la vita tranquilla, borghese, del protagonista subisce una trasformazione totale che equivale o viene paragonata dal narratore con una simbolica cacciata fuori dalla realtà convenzionale. La morte della moglie, un suicidio a cui si assiste per caso, una malattia grave hanno come effetto, la sensazione di essere soppravissuti in un mondo postapocalittico, costituito soltanto da frammenti disparati.. Piano, piano, il sospetto di essere già morto, senza potersi ricordare, comincia ad insinuarsi nella mente di Benjamin Sach (Leviathan), di David Quin (City of Glass), Nick Bowen (Oracle Night), che scappano dallo spazio in cui si volgeva la loro vita di prima, per lasciarsi in balia del caso. “He was alive and the stubbornness of this fact had little by little begun to fascinate him as if he had managed to outlive himself, as if he were somehow living a posthumous life.[14]” (Leviathan). Un personaggio lascia indietro la sua vita di prima per andare a vagabondare per mesi nel Central Park di New York, un’altro corre all’aeroporto e prende il primo aereo che trova; cosi cominciano le erranze di Paul Auster, che sono, alla fine, ricerche di uno sguardo che possa riproporre, ricreare una nuova identità. Una citazione di Baudelaire ripresa da Peter Stillman in City of Glass, “Wherever I am not is the place where I am myself[15]” sembra definire questo tipo di erranza e che è stata descritta prima da Pirandello in Stefan Giogli, uno e due, dove accade una vera e propria molteplicazione di persone che anticipando Il fu Mattia Pascal provano continuamente a staccarsi dalla loro identità. “Se ognuno di noi – spiega lo scrittore italiano – potesse staccar di se quella metafora di se stesso, che inevitabilmente, dalle nostre finzioni innumerevoli siamo indotti a formarci, si accorgerebbe subito che questo lui è un altro, un altro che non ha nulla o ben poco a vedere con lui. Vogliamo ad ogni costo salvare, tener ritta in piedi quella metafora di noi stessi[16]”. Le due parti che articolano la struttura del romanzo The Invention of Solitude sono costruite proprio sulla transizione da un io narrante, confessivo, alla sua progezione in una terza persona, il cambiamento del registro stilistico della voce narrativa determinando infatti gli ulteriori svolgimenti nella storia.
Benchè il tema dell’illusione, della finzione identitaria in Luigi Pirandello e l’esistenza simulacro ricorrente nella narrativa di Paul Auster possano essere paragonati in uno studio comparatistico più ampio, non esiste nei romanzi dello scrittore americano nessun brano che possa offrire alle esigenze della filologia la prova incontestabile di un legame intertestuale fra i due. Una coincidenza sorprendente, segna, però, il destino di Adriano Meis e di David Zimmer, il protagonista del Libro delle Illusioni (The Book of Illusinons): all’inizio della sua vita a Roma, il Mattia Pascal impersonato ormai nella sua nuova ipostasi s’imbatte per caso, in una delle sue passeggieate romane in un teatrino di marionette. Le marionette recitano una parte che rappresenta “una mise en abime” del racconto e che rispecchiano il caso che domina la nuova vita del Meis. Il burattinaio gli chiede: “Se proprio nel momento culminante si facesse uno strapo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe?- e la risposta:Ma è facillissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo[17]”. Proprio una scena simile è ripresa nel romanzo The Book of Illusions dove David Zimmer, di cui, ad un certo punto, il narratore dice: “much later he would conclude that nothing was real except for chance[18]”, guarda per caso la pellicola di un film muto. Heinrich Mann, il suo doppio simbolico nel romanzo sta recitando nel film la parte di un impiegato che lavora allo scrittoio mentre una parte del soffitto finto crolla, e lui, proprio come la marionetta di Oreste alza lo sguardo verso l’alto. Probabilmente, si tratta di una riscrittura della scena pirandelliana che potrebbe facilitare non soltanto una lettura in chiave pirandelliana di Paul Auster, ma anche una riscoperta di Pirandello alla luce delle ossessioni tematiche contemporanee.
[1] Luigi Pirandello, “‘Lettera autobiografica'”, Le lettere ( 15 Oct. 1924), apud. Manlio Lo Vecchio- Musti (ed.), Saggi, poesie, scritti varii, Milano, Mondadori, 1973
[2] Luigi Pirandello, “‘Lettera autobiografica'”, Le lettere, apud Claudio Vicentini, L’estetica di Pirandello, seconda edizione aggiornata, Milano, Mursia, 1985, p. 64
[3] Massimo Fusillo, L’altro e lo stesso, teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1998
[4] Luigi Pirandello, Notizie del mondo, apud Jean Michel Gardair, Pirandello e il suo doppio, Presentazione di Giovanni Macchia, a cura di Giulio Ferroni, Roma, Edizioni Abete, 1977, p. 86
[5] per i classici ricontestualizzati, vedi Marguerite Alexander, Flights fron Realism, Themes and Strategies in Postmodernist British and American Fiction, London, Routledge, 1990
[6] Paul Auster, The New York Trilogy, City of Glass, Ghosts, The Locked Room, New York, Faber and Faber, 2004
[8] “Postmodernists texts, in other words, tend to encourage trompe l’oeil, deliberately misleading the reader into regarding an embedded secondary world as the primary diegetic world. Typically, such deliberate “mystification” is followed by “demystification”, in which the true ontological status of the supposed “reality” is revealed and the entire ontological structure of the text consequently laid bare. In short, trompe l’oeil, functions in the postmodernist context as another device for foregrounding the ontological dimension.” Brian McHale, Postmodernist Fiction, London and New York, Routledge, 2005, p. 116
[9] Brian McHale, art. Metalepsis, in David Herman, Manfred Jahn and Marie Laure Ryan, (Editors), Routledge Encyclopedia of Narrative Theory, Routledge, London and New York, 2005
[10] Patrick Mauries (editor), Il Trompe l’oeil, Illusioni pittoriche dall’antichitta al XX secolo, Leonardo Arte, Milano, 1997
[11] Victor Ieronim Stoichiţă, Instaurarea tabloului, Metapictura în zorii timpurilor moderne, trad. Din limba franceză de Andrei Niculescu, Editura Meridiane, Bucureşti, 1999
[12] Luigi Pirandello, “L’azione parlata”, in Manlio Lo Vecchio- Musti (ed.), Saggi, poesie, scritti varii, Milano, Mondadori, 1973