Homo Errans. Passaggi, Erranze, Nomadi
All’inizio dell’Ottocento, in un ambito culturale che conosce i primi sbocci del romanticismo europeo e contemporaneamente, le prime critiche contro il progetto sociale dell’illuminismo, Henry David Thoreau scriveva nel suo saggio Walking/Camminare:
“I have met with but one or two persons in the course of my life who understood the art of walking, that is, of taking walks, – who had a genius, so to speak, for sauntering: which word is beautifully derived from idle people who roved about the country, in the Middle Ages, and asked charity, under pretense of going à la Sainte Terre, to the Holy Land, till the children exclaimed, “There goes a Sainte-Terrer”, a Saunterer, a Holy-Lander. […] Some, however, would derive the word from sans terre, without land or a home, which, therefore, in a good sense, will mean, having no particular home, but equally at home everywhere. […] The chivalric and heroic spirit which once belonged to the Rider seems now to reside in, or perchance to have subsided into, the Walker, – not the knight, the Walker, Errant…. No wealth can buy the requisite leisure, freedom and independence which are the capitals in this profession. It comes only by the grace of God. It requires a direct dispensation from Heaven to become a walker. You must be born into the family of the Walkers. Ambulatur nascitur, non fit.”
Questa rivalutazione in chiave sacrale della figura dell’errante si propone in quanto alternativa ad una società che ritrova tutti i suoi fondamenti nel razionalismo pragmatico settecentesco, e investe tutte le sue energie nella formazione dell’individuo moderno eliberato da ogni tipo di schiavitù dogmatica o religiosa, tranne quella, ancor più limitativa, della ragione. Sia che si tratti del puritanismo dell’americano borghese o del razionalismo dell’europeo enciclopedista, una specie di schematismo algebrico determina l’individuo di firmare un contratto sociale che presuppone la cacciata del miracolo, e allo stesso tempo la negazione violenta di ogni atto improviso che potrebbe far cambiare gli atteggiamenti essenziali dell’animale sociale. L’ossessione settecentesca di cartografiare le ultime macchie vuote del mappamondo, di coprire in un unica enciclopedia la totalità delle conoscenze umane, trova il suo corrispondente nella rigidità del progetto biografico sottoposto non più ad uno schema soteriologico, ma alla finalità laica di creare il cittadino ideale. Nella letteratura, gli eroi del bildungsroman europeo dovranno trovare la loro felicità mediante l’integrazione perfetta, cioè efficente, nella comunità, pur attraversando un periodo di giovinezza pieno di attrazioni dispersive, ingannevoli. L’eroe di Goethe, Wilhelm Meister, (il protagonista degli Anni di apprendistato di Wilhelm Meister) è l’esponente primo di questo processo di maturazione, che finisce con il rinuncio del protagonista alla vita errante svolta per tutta la sua giovinezza nella compagnia degli attori.
Il ritorno del personaggio errante nel romanticismo diventa il sintomo del rovesciamento dei valori illuministici, oppure il sopporto epico di una critica sfrecciante contro l’effetto di massificazione che la società borghese postilluministica genera nei confronti dei suoi membri. L’ebbreo errante, Caino, il cavaliere, the outcast, si oppongono nei tratti di un’individualità esacerbata condannata alla solitudine del genio, ai borghesi confinati entro i limiti rigidi della propria funzione sociale e predestinati a seguire i meccanismi riduttivi della ragione. Al di là dei confini dello stato e fuori da ogni tipo di spazio mite, l’eroe errante ritrova in balia al caso, in uno spazio e un tempo metamorfico, non soltanto la naturalezza caotica del mondo e la figura del buon primitivo, ma anche la via della risacralizzazione. The Saunterer di Thoreau è fondamentalmente prescelto, nato, come la maggior parte dei geni romantici, senza una stella, senza un destino che dovrebbe essere compiuto, senza nessun altro dovere che quello di vivere al massimo, la sua libertà. The Saunterer è il nomade nel proprio destino.
Non è a caso il fatto che negli ultimi anni la narrativa contemporanea riprende spesso nella fabula il personaggio nomade e la tesi dello sradicamento da ogni tipo di determinazione metafizica. La critica postmoderna contro il progetto totalitarista del modernismo, la denuncia dei metadiscorsi in quanto verità finzionali incapaci di offrire fondamenti stabili per una biografia individuale, e dinanzi tutto, la dicostruzione nietzscheana di ogni tipo di teleologia propongono di nuovo personaggi che si rifiutano di stagnare. Gli erranti contemporanei assumono la faccia del divenire, vivono caoticamente e senza angoscia il tempo, sono gli erroi edonistici e tragici dell’istante; perciò, loro non sono necessariamente viaggiatori. L’erranza diventa la forma dell’interiorità dispersiva vissuta non soltanto nel deserto oppure negli spazi tradizionalmente fuori dalla comunità, ma sopratutto, nella metropoli postmoderna. La perdita di sè non è più angosciosa, ma rappresenta invece lo stato più naturale del personaggio contemporaneo: il vagabondaggio è più di un semplice rifiuto dei modelli sociali precedenti.
Ho proposto questo tema per una giornata di studi di letteratura comparata, svolta a Roma il 9 giugno 2006, organizzata dall’Accademia di Romania e dal Centro degli Studi dell’Immaginario, Phantasma, per riportare i nomadi nel centro simbolico della civiltà europea. Un arrivo che non doveva essere più una conquista, un nuovo sacco di Roma da parte degli barbari erranti, ma piuttosto una restituzione. Le relazioni presentate hanno definito il personaggio nomade in stretto collegamento con l’idea del centro e con due movimenti vettoriali: una pulsione dispersiva che allontana l’individuo verso i margini, sradicandolo, e un’altra pulsione antagonica, coesiva, che scopre una nuova finalità del vagabondaggio. Devo ringraziare tutti quelli che hanno facilitato il compimento del nostro progetto, i partecipanti e coloro che hanno aperto le porti di Roma alla nuova invasione barbarica, prima di tutto il direttore dell’Accademia di Romania, dott. Dan Eugen Pineta che ha accolto calorosamente l’idea, e il direttore del centro Phantasma di Cluj, prof. Corin Braga che è stato la guida della carovana romena. E finalmente, ringrazio tutti quelli che errano.
Ovidiu Mircean
Babes-Bolyai University, Cluj-Napoca, Romania