Vasile Rus
Babeş-Bolyai University, Cluj-Napoca, Romania
Ugo di San Vittore ed il paradosso del mistico dotto/
Hugh of Saint Victor and the Paradox of the Mystical Learned Man
Abstract: Within the Christian tradition, Hugh of Saint Victor can be placed in between scholasticism and mysticism. He is the live image of a learned mystic, who demonstrates how one can reach the contemplation of God through the physical sciences, without leaving the divine mystery on a second plane. He offers the sample of an instructed mystic who tries to transform his knowledge into contemplation.
Keywords: Scholastics; mystics; theology; contemplation; prayer; revealed truth; liberal arts.
Motto:
Temp’ era dal principio del mattino,
e’l sol montava ’n su con quelle stelle
ch’ eran con lui quando l’ amor divino
mosse di prima quelle cose belle
Dante, Inferno, I, vv. 37-40
L’idea di questo saggio mi è stata suggerita da un piccolo capolavoro del sapientissimo cardinale Tomáš Špidlík S.J., il cui titolo era “Verso una teologia sofiologica”[1]. Il gesuita collocava il medioevo occidentale fra scolastica e mistica, i due poli dai quali scatturiva la tensione non di rado conflittuale intorno alla così-detta “scienza di Dio”, cioè la qewri/a, concepita una volta, in ambiente religioso orientale, come Qeo\n o(ra=n, “vedere Dio”, conoscere Dio in tutto ciò che esiste[2]. Evagrio Pontico usa, per la prima volta, in medio cristiano il termine qeologi/a (dopo Platone), ma con ciò capisce piuttosto “la contemplazione della Santissima Trinità”, che rappresenta il grado supremo della preghiera. Dice il religioso aforisticamente: “Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sarai teologo”[3]. Ed è lo stesso Evagrio che scrive: “La scienza di Cristo non ha bisogno di un’ anima dialettica, ma di un’ anima veggente”[4], professando un palese disprezzo verso la razionalità e verso la curiosità del scrutare le cose del mondo. Dato questo, il padre gesuita conclude così: “Divenne quindi un genere letterario fra gli spirituali professare la propria ignoranza, la mancanza di ogni erudizione, anche in materia religiosa …”[5]. Ma, sulle tracce del celebre nomocanon bizantino, che univa le leggi civili a quelle ecclesiastiche, si nasceva la scolastica medioevale, che lungi di negare l’ origine divina della fede, invitava comunque “ad una simile fusione armoniosa fra il pensiero umano ragionevole e le verità rivelate …”[6]. In questa unione, si nasce un nuvo problema, totalmente opposto alla posizione di Evagrio: si può raggiungere la contemplazione di Dio parcorrendo la via delle scienze, senza lasciare in piano secondo il mistero divino, senza distrurre, come direbbe Blaga “corola de minuni a lumii?”. Un intero secolo, il XIImo è testimone di questa “rivoluzione scientifica”, una vera e propria rinascita umanista fomentata da personaggi importanti come i maestri della Scuola di Chartres, meglio conosciuti attraverso il geniale Metalogicon di Giovanni di Salisbury: Bernardo di Chartres, definito come grammaticus, in senso classico quintilianesco, di “professore di letteratura classica latina, incaricato di coltivare il gusto dei suoi allievi e di formare non soltanto il loro stile, ma anche la loro coscienza morale”[7], poi Gilberto de la Porée, Teodorico di Chartres, fratello di Bernardo, ed anche quelli presi dallo stesso “sindrome di Chartres”, come Guglielmo di Conches e Giovanni di Salisbury; viene poi il celebre professore di logica e teologo Pietro Abelardo, avversario di Guglielmo di Champeaux, e finalmente, forse i più importanti, i mistici speculativi attorno la scuola abbaziale di San Vittore: Ugo di San Vittore (forse di origine sassona, forse fiandrese) ed il suo discepolo e successore, Riccardo di San Vittore, per non tralasciare il dottore universale Alano di Lilla e Nicola di Amiens.
Ma la figura che forse merita di più la denominazione di mistico speculativo ovvero di mistico dotto rimane quella di Ugo di San Vittore. Soffermiamoci un po’ sulla sua opera per capire meglio la sua formazione, visto che nei confronti di questa esistono due posizioni opposte:
1. Come mostra Bogdan Tătaru-Cazaban, un passionato e competente studioso romeno della filosofia e teologia medioevali, A. Fouillée, A. Luchaire, B. Hauréau, Ueberweg-Heinze hanno visto sbagliatamente nei scritti di Ugo addirittura la reazione contro la scienza e la filosofia, cioè proprio il corrente monastico reluttante nei confronti degli albori della scolastica[8].
2. Ha ragione, invece, V. Cousin che sostiene testualmente che “Hugues est un mystique prononcé …”[9], ma soprattutto, con più sfumature, Étienne Gilson, che caraterizza così l’ intelettuale del XIImo secolo: “Si può essere un sommo mistico senza saper né leggere né scrivere; si può essere un sommo mistico, più o meno istruito, senza integrare il proprio sapere alla propria vita mistica; si può essere un mistico molto istruito e preoccupato di volgere il sapere stesso in contemplazione. Ugo di san Vittore appartiene a quest’ ultimo gruppo, ed è per questo che la sua dottrina non è priva d’ interesse per la storia del pensiero medievale”[10].
In questa prospettiva, Ugo di San Vittore può essere collocato à metà strada fra il grande mistico della Cappadocia, Basilio, ed il teologo russo Florenskji, che, come Hugo, ha cominciato il suo itinerario culturale come matematico (ricordiamo che Hugo ha composto anche lui una Practica Geometriae[11]). Partendo a rovescio, diciamo che il Florenskji è quello che ha professato una radicale distinzione fra le due forme di conoscere umano: il conoscere delle cose e la conoscenza delle persone: quello delle cose può restare oggettivo, statico, mentre quello della persona si sviluppa in tre tappe: 1) Credo, quia absurdum. Prima di tutto bisogna dare fiducia alla persona che avviciniamo. 2) Credo, ut intelligam. Si spera di comprendere colui al quale abbiamo accordato fiducia, egli comincia a rivelarsi a noi. 3) Intelligo, ut credam. Dopo le rivelazioni che la persona ci ha comunicato, vediamo che la nostra fede è la sorgente di un’ intelligenza superiore. Applicando questo schema alla teologia, Florenskji conclude che la fede cristiana professa un Dio personale. Nonostante il fatto che il suo conoscere non è raggiungibile per viam scientiarum, il russo insiste sulla necessità di unire la conoscenza dialettica, discorsiva a quella intuitiva. L’unione sarà personale, ed esiste un caso unico in quale questa conoscenza personale ha un valore assoluto: la Santissima Trinità, l’ unione delle tre Persone pienamente libere in un solo Dio. Ecco quello che viene detto da padre Špidlík: “Allora è questo supremo mistero cristiano che deve essere considerato come fundamento di una vera gnoseologia, allo stesso modo di come esso è radice anche della vita umana e dell’ ordine dell’ universo …”[12].
Al polo opposto troviamo Basilio il Grande, il precursore della sofiologia, la cui breve vita passò per molti stadi spirituali. Come studente diligente nelle scuole superiori ad Atene e a Costantinopoli, cercò di imparare tutte le scienze umane. Ma per merito di sua sorella più anziana di lui, si convertì e diede la precedenza alla vita spirituale davanti alla scienza. Diventato monaco, egli stesso descrive la sua conversione: “Quanto a me, ho passato molto tempo nella vanità, ho perduto quasi tutta la mia giovinezza per acquistare la dottrina degli insegnamenti della saggezza che fu da Dio dichiarata stolta”[13]. Nella sua opera capitale Omelie sull’ Hexahemeron Basilio cominciò a interpretare “il grande spettacolo” del universo: a prima vista, un’opportunità di vantarsi per le sue conoscenze scientifiche acquistate nelle scuole greche, ma, infatti, lo scopo e più profondo, di natura teologica: è la contemplazione salvifica della bellezza spirituale. Che parole meravigliose ci scrive Basilio: “Il Signore, grande autore ed artista delle meraviglie del mondo, invita noi allo spettacolo delle sue opere. Dobbiamo forse stancarsi di contemplarle, esiteremo ad ascoltare gli insegnamenti dello Spirito?”[14]. L’ anima nutrita da questa visione “esulta nel Signore”, sapendo che da Lui solo proviene una tale bellezza, una tale bontà e una tale saggezza[15].
Ed in mezzo troviamo Ugo di San Vittore, educato dapprima all’ abbazia tedesca di Hammersleben, poi in quella agostiana dei contorni di Parigi, cioè di San Vittore, dove diventò grande professore e maestro di scuola e teologo di alto livello, come dice lo stesso Gilson. Nelle parole encomiastiche del Gilson ci sembra di ritrovare il ritratto del cappadociano: “Spirito vasto e lucido, egli si sforza di raccogliere nelle sue opere l’ essenziale delle scienze sacre e profane, ma per volgerle alla contemplazione di Dio ed all’ amore …”[16]. Come Basilio, anche Ugo ha concepito un’ opera di grandezza spirituale, nella quale la contemplazione divina occupa il posto centrale: De sacramentis[17]. Secondo il Gilson, “Il De Sacramentis è già una vasta somma teologica di cui sono notevoli le proporzioni e l’ ordinamento interno; vi trova posto tutta la storia del mondo e vi si ordina attorno a due fatti che ne segnano i momenti critici, la sua creazione e la sua restaurazione: l’ opera di creazione, per la quale sono state fatte le cose che ancora non esistevano, cioè la costituzione del mondo con tutti i suoi elementi; l’ opera di restaurazione per la quale ciò che era perito è stato rifatto, cioè l’ incarnazione del Verbo e i Sacramenti”[18]. Da buono seguace di Aurelio Agostino, Ugo accetta con fedeltà la dottrina agostiniana dell’ illuminazione. In mezzo alla creazione, come centro privilegiato di questa, sta l’ uomo ed il suo destino di creatura razionale. Così, in questo fluxus entis, che ci fa pensare al pro/odoj di Plotino, ma che qui, mutatis mutandis, per il cristiano rappresenta il risultato del gesto donativo dall’ inizio de la creazione, l’ eco duratura della gratia creatrix, l’ uomo fa la parte del intercessore, dell’ incontro fra i due “regni”: quello corporale e quello spirituale. Infatti, più del pro/odoj c’è anche l’ e=pistrofh/, l’ ascensus, ed il doppio movimento è appogiato da Ugo tramite un’ ermeneutica simbolica della salita sulla montagna Sinai da parte di Mosè oppure della scala di Giacobe che con la base appogia la terra ma con la cima tocca il cielo. Dunque, non c’ è identità di natura fra i due regni, ma c’ è solo una forma di intercessione che mantiene assieme l’ opus conditionis: Gratia creatrix primum naturae conditae quaedam bona inseruit[19]. Questa dottrina ci fa pensare indietro a Origene, che privileggiava la creazione del primo giorno, ma suprattutto avvanti, al poeta fiorentino che riveste con il fascino della poesia questa dottrina di Ugo: Temp’ era dal principio del mattino, / e ’l sol montava ’n su con quelle stelle / ch’ eran con lui quando l’ amor divino / mosse di prima quelle cose belle[20]. E così, il doppio movimento si fa vivo anche nella struttura umana, perché l’uomo non è altro che la combinazione fra la sostanza spirituale che scende ed il corpo materiale che sale. Ma tutto si sviluppa in una orientazione verso l’ interiorità, il così-detto ascensus è, in realtà, una discesa nel profondo che produce al livello della ragione, cioè della parte superiore dell’ anima, la scienza, che poi, a mano a mano che l’ itinerario continua, diventa uno sguardo interiore che contempla se stesso e quello che si trova al di sopra (infatti nel più intimo del intimo), come mens et intelligentia[21], trovando alla fine il dono dell’ illuminazione cioè della gratia.
La doppia natura umana spiega probabilmente anche la celebre classifica delle scienze, di quelle umane e di quelle divine, che Ugo di San Vittore la fa nel suo Didascalion[22]. Lui sì che parte, da buon insegnante, dalle due sezioni del curriculo scolastico, cioè da trivium (grammatica, retorica, dialettica) e quadrivium (aritmetica, musica, geometria, astronomia), che Guglielmo di Conches[23] le faceva responsabili, la prima per l’ acquisizione dell’ eloquenza, la seconda per l’ acquisto della sapienza, ma propone una nuova classifica, più complessiva, con più componenti delle sette arti liberali[24], avendo in mente lo scopo di raggiungere la contemplazione divina tramite la saggezza. Ci sono quattro classi di scienze che contengono tutte le altre: la scienza teorica, che cerca di scoprire la verità; la scienza pratica che prende in considerazione la disciplina dei costumi; la meccanica che presiede alle azioni della nostra vita; la logica che ci insegna la scienza di ben parlare e discutere. La scienza teorica, in senso etimologico, da qewri/a, contemplazione, comprende la teologia, la matematica e la fisica; poi, la matematica, secondo il quadrivium, si divide in aritmetica, musica, geometria e astronomia. La scienza pratica si suddivide in morale individuale, domestica e politica. Anche la meccanica contiene sette “scienze”: tessitura, fabbrica d’ armi, navigazione, agricoltura, caccia, pesca, teatro. Infine, la logica, infatti la quarta parte della filosofia, si divide, seguendo parzialmente il trivium, in grammatica e in arte del discorrere, e quest’ ultima comprende in sé la teoria della dimostrazione, la retorica e la dialettica[25]. Questa classifica saliente ed allo stesso tempo discendente, gierarchica, intende nello sforzo finale, di condurre le anime degli allievi alla sapienza, perché, pensava Ugo, l’ abate di San Vittore, loro avevano molti studenti ma pochi sapienti in grado di trovare la via dell’ illuminazione divina.
Arrivati alla fine veddiamo un po’, con l’ aiuto dello stesso Gilson, un piccolo rittrato intelletuale di quello che per lungo tempo sarà letto dai veri intelletuali dei secoli posteriori – e sugli scaffali delle loro biblioteche si trovava sempre un volume di Ugo di San Vittore[26] -: “Si vede dunque che, pur essendo un mistico, il nostro teologo è in primo luogo un maestro desideroso di vedere i suoi discepoli seguire, come gli altri e meglio degli altri, il corso ordinario delle scienze profane. Egli insiste anche con forza sul punto che le sette arti liberali sono inseparabili e che si ha sempre torto quando si crede di conseguire la vera sapienza applicandosi ad alcune di esse e trascurando le altre.[27]” Va da sé que l’ imagine di un mistico dottissimo sarebbe un paradosso per Evagrio Pontico e per il modello del mistico soltantum spiritu beatus, ma per il XIImo secolo era un uomo santo ed ideale, visto che anche il più santo di loro, il riformatore Bernardo di Chiaravalle sosteneva solo pro forma l’ ideale professato una volta dal Evagrio[28].
[2] Kallystos Kataphygiotes, De vita contemplativa 2 e 19, Patrologia Graeca 147, 836B e 859B, apud T. Špidlík, op. cit., p. 91, nota 25.
[3] I. Hausherr, Les leçons d’ un contemplatif, Paris 1960, p. 85 (traduzione e commento del trattato di Evagrio De oratione).
[7] Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo. Classic 12. Presentazione di Mario Dal Pra. Traduzione di Maria Assunta del Torre. Aggiornamento bibliografico a cura di Mariateresa Beonio Brochieri Fumagalli. La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze), Capitolo V, La filosofia nel secolo XII. I. – La scuola di Chartres, p. 314.
[8] Hugo din Saint Victor, Meditaţii spirituale. Traduzione dal latino di Miruna e Bogdan Tătaru-Cazaban. Notizia storica, commenti e saggio di Bogdan Tătaru-Cazaban. Collana Filosofie Medievală. Coordinatore: Alexander Baumgarten. Univers Enciclopedic, 2005, p. 18.
[9] V. Cousin, Histoire générale de la philosophie, Paris 1884, p. 565, apud Hugo din Saint Victor, op. cit., Introducere de Bogdan Tătaru-Cazaban, p. 19.
[11] Practical Geometry [Practica Geometriae]. Attributed to Hugh of St. Victor. Translated from the Latin with an Introduction, Notes and Appendices by Frederick A. Homman SJ, Marguette University Press, 1991.
[17] Hugh of Saint Victor, On the Sacramennts of the Christian Faith (De Sacramentis). English Version by Roy J. Deferrari. The Medieval Academy of America, Cambridge, Massachusetts, 1951.
[18] É. Gilson, op. cit., p. 369; Bogdan Tătaru-Cazaban, Homo interior, in Hugo din Saint Victor, op. cit., 4. Omul interior între „opera conditionis” şi „opera restaurationis” la Hugo din Saint Victor, pp. 214-220.
[19] Robert Javelet, Image et ressemblabce au douzième siècle. De Saint Anselme à Alain de Lille, Université de Strasbourg, Faculté de Théologie Catholique, 1967, vol. I, p. 323, n. 185.
[24] Vide The Seven Liberal Arts in the Middle Ages. Edited by David L. Wagner, Indiana University Press, Bloomington, 1986.
[26] Vide Jacques Verger, Gli uomini di cultura nel Medioevo. Traduzione di Cecilia Ranzi. Società Editrice Mulino, Bologna, 1999, p. 107.
[28] É. Gilson, op. cit., p. 358: «Egli non nega l’ utilità che, all’ occasione, possono presentare le conoscenze dialettiche e filosofiche; ancor meno egli si lascerà trasportare a vituperare in astratto i filosofi e i dialettici, ma egli sostienne che la conoscenza delle scienze profane è di infimo valore a paragone di quella delle scienze sacre, e controlla da vicino i filosofi teologi del suo tempo. San Bernardo può anche fare qualche concessione di principio allo studio della filosofia, ma esprime il suo vero pensiero quando dichiara: la mia vera filosofia è di conoscere Gesù, Gesù Crocifisso».